Maometto (AFI: /maoˈmetto/, in arabo Muḥammad; La Mecca, 570 circa – Medina, 8 giugno 632) è stato il fondatore e il profeta dell'Islam, «l'uomo che tutti i musulmani riconoscono loro profeta». Nel 610 Maometto, affermando di operare in base a una rivelazione ricevuta, cominciò a predicare una religione monoteista basata sul culto esclusivo di un Dio, unico e indivisibile. Considerato l'ultimo esponente di una lunga tradizione profetica, entro la quale egli occupa per i musulmani una posizione di assoluto rilievo, venendo indicato come «Messaggero di Dio/Allah» (Rasūl Allāh), «Sigillo dei profeti» (Khāṭim al-anbiyāʾ) e «Misericordia dei mondi» (per citare solo tre degli epiteti onorifici attribuitegli per tradizione), Maometto sarebbe stato incaricato da Dio stesso, tramite l'angelo Gabriele, di predicare l'ultima Rivelazione all'umanità. La sua rivelazione venne raccolta dopo la sua morte nel Corano, il libro sacro dell'Islam.
Maometto ripeté per ben due volte per intero il Corano nei suoi ultimi due anni di vita e molti musulmani lo memorizzarono per intero, ma fu solo durante il califfato di ʿUthmān b. ʿAffān che fu messo per iscritto da una commissione coordinata da Zayd b. Thābit, principale segretario del Profeta. Il Corano si diffuse così nel mondo a seguito delle conquiste arabe in Africa, Asia ed Europa, rimanendo inalterato fino ad oggi, malgrado lo sciismo vi aggiunga un capitolo (Sūra) e alcuni brevi versetti (ayāt). Fu l'unico figlio di ʿAbd Allāh b. ʿAbd al-Muṭṭalib ibn Hāshim (appartenente ad un importante clan di mercanti, quello dei Banū Hāshim, componente della più vasta tribù dei Banū Quraysh della Mecca) e di Āmina bt. Wahb, figlia del sayyid del clan dei Banu Zuhra, anch'esso appartenente ai B. Quraysh. La sua nascita sarebbe stata segnata, secondo alcune tradizioni, da eventi straordinari e miracolosi. Suo padre morì a Yathrib, sei mesi prima della sua nascita, al termine d'un viaggio di commercio a Gaza. Orfano fin dalla nascita del padre, Maometto fu affidato da sua madre alla balia Ḥalīma bt. Abī Dhuʿayb, della tribù dei Banū Saʿd b. Bakr (che effettuava piccolo nomadismo intorno a Yathrib), che lo avrebbe allevato nei primissimi anni di vita.
Ḥalīma fu per Maometto una seconda madre, tanto da essere chiamata da lui «mamma». Secondo la tradizione, Ḥalīma avrebbe riportato il bambino da Āmina, dopo un evento soprannaturale: mentre il giovanissimo Maometto badava a degli animali da pascolo, sarebbe stato avvicinato da due o tre esseri, che dopo averlo fatto «gentilmente» distendere, gli avrebbero estratto dal cuore un grumo nero che sarebbe stato lavato con neve e poi riposizionato funzionante nel cuore. Maometto rimase orfano anche di madre all'età di sei anni. Il bambino fu affidato al nonno paterno ʿAbd al-Muṭṭalib ibn Hāshim, che lo portò alla Mecca. Alla morte del nonno due anni dopo, fu lo zio paterno Abū Ṭālib a prendersi cura di lui, divenendo una figura centrale nella sua vita. Altrettanto importante fu l'affettuosa e presente sua zia Fāṭima bint Asad, che Maometto amava per il suo carattere dolce, tanto da mettere il suo nome a una delle proprie figlie e per la quale il futuro profeta pregò spesso dopo la sua morte.
In casa degli zii, Maometto convisse con i cugini Tālib (che in seguito non sarebbe mai divenuto musulmano) ʿAqīl (che avrebbe abbracciato la fede solo dopo enormi resistenze), Fākhita (con cui Maometto avrebbe voluto contrarre un matrimonio preferenziale), Ğaʿfar (che somigliava molto al futuro profeta) e infine ʿAlī, il minore dei suoi cugini. Successivamente, ormai figura affermata nella società, Maometto adotterà ʿAlī, che sarebbe divenuto una figura centrale dello sciismo. Tranne lo zio Abū Lahab, tutti loro gli dimostrarono affetto e, in seguito, supporto, anche per la norma sociale della muruwwa.
Nei suoi viaggi fatti in Siria e Yemen con suo zio Abū Ṭālib, modesto commerciante, Maometto potrebbe aver preso conoscenza dell'esistenza di comunità ebraiche e cristiane e dell'incontro, che sarebbe avvenuto quando Maometto aveva 9 o 12 anni, col monaco cristiano siriano Bahīra - che avrebbe riconosciuto in un neo fra le sue scapole il segno del futuro carisma profetico - si parla già nella prima biografia (Sīra) di Maometto, che fu curata, vario tempo dopo la morte, da Ibn Isḥāq per essere poi ripresa in forma più "pia" da Ibn Hishām. A quindici anni, Maometto partecipò alla guerra del Figar tra i vari clan, per assicurarsi il controllo del commercio di Higiaz, con la scusa di garantire i traffici e stroncare le azioni disoneste. Il conflitto forse servì a Maometto per imparare ad usare arco e frecce. Il futuro profeta partecipò al patto tra i clan vincitori (i Quraysh e i Kina), che servì a mantenere l'egemonia del potere commerciale.
Viste le difficoltà economiche in cui si trovava, suo zio Abū Ṭālib gli consigliò di lavorare come mercante. Presto Maometto ottenne fama di commerciante «onesto, equo ed efficiente», che gli avevano valso il soprannome di al-Amīn (il Fidato). Le sue doti furono notate dalla ricca e colta vedova Khadīja bt. Khuwaylid, che gli offrì la guida e la gestione di un suo carico di mercanzie per la Siria e Yemen: operazione che grazie a Maometto generò un profitto maggiore del previsto. Due mesi dopo il ritorno di Maometto alla Mecca da un viaggio in Siria, rimasta favorevolmente impressionata anche dall'avvenenza, dal carisma e dal talento per gli affari del giovane mercante, la quarantenne Khadīja si propose in sposa al venticinquenne Maometto attraverso l'intermediaria Nufayasa. Sempre nel 595, dopo che lui le donò in dote 20 dromedarie, i due si sposarono. Ebbero una vita di coppia senz'altro felice, testimoniata non solo dalla volontaria monogamia di Maometto ma anche dai sei figli che nacquero.
Khadīja gli dette quattro figlie - Zaynab, Ruqayya, Umm Khulthūm e Fāṭima, detta al-Zahrāʾ (le prime tre destinate però a premorire al padre, seppur in età adulta) - oltre a due figli maschi: al-Qàsim, che morì a poco meno di due anni e ʿAbd Allah, a circa sette mesi. L'unica figlia sopravvissuta a Maometto fu Fāṭima, che dette in sposa al cugino ʿAlī. Alcuni anni dopo il matrimonio, nel 605, venne effettuato un profondo restauro della Kaʿba. In quell'occasione, non riuscendo ad accordarsi su quale di essi dovesse avere l'onore di ricollocare la Pietra Nera (spostata dopo i lavori del restauro e situata in quella che è oggi la Grande Moschea della Mecca), i principali esponenti dei clan della Mecca decisero di affidare la decisione alla prima persona che fosse transitata sul posto: quella persona fu il trentacinquenne Maometto.
Il futuro profeta chiese un tappeto e decise di posizionarvi al centro la pietra, poi la trasportò insieme agli esponenti dei clan più importanti, ognuno dei quali reggeva un angolo del tessuto. Fu Maometto a inserire la pietra nel suo spazio, sedando in questo modo la pericolosa disputa, salvando al contempo l'onore dei clan. La tradizione non fornisce molti elementi per poter comprendere la formazione di Maometto, in particolare riguardo a quali influssi culturali e religiosi possa aver subìto. Quello che è certo è che possedesse un'inquietudine spirituale e un'inclinazione religiosa, che lo portavano spesso ad allontanarsi dal caos della quotidianità.
Nel 608, Maometto iniziò a fare sogni premonitori, a vedere lampi di luce e a sentire voci, che inizialmente attribuì alla presenza di jinn. Furono proprio questi sogni a sospingere sempre più Maometto, benestante e socialmente ben inserito, verso una pratica spirituale molto intensa attraverso l'esecuzione sempre più frequentemente di ritiri spirituali (tahannuth), che potevano durare anche un mese. Come altri ḥanīf, Maometto iniziò a ritirarsi a cadenze regolari in una grotta sul monte Hira, vicino alla Mecca, per meditare. Secondo la tradizione, nella notte tra il 26 e il 27 del mese di Ramadan dell'anno 610, all'età di circa quarant'anni, gli apparve l'arcangelo Gabriele, che lo strinse a sé tre volte e si rivolse a lui con le seguenti parole: «(1) Leggi, in nome del tuo Signore, che ha creato, (2) ha creato l'uomo da un grumo di sangue! (3) Leggi! Ché il tuo Signore è il Generosissimo, (4) Colui che ha insegnato l’uso del calamo, (5) ha insegnato all'uomo quello che non sapeva»
Scovolto da questa esperienza teopatica, Maometto fuggì a precipizio dalla caverna in direzione della propria abitazione e, nel girarsi, raccontò di aver visto Gabriele sovrastare con le sue ali immense l'intero orizzonte, e lo sentì rivelargli di essere stato prescelto da Dio come suo «Messaggero» (rasūl). Giunto a casa, fu scosso da violenti tremori e cadde in preda al terrore credendo di essere stato soggiogato dai jinn e quindi impazzito. A convincerlo ad accettare la realtà di quanto gli era accaduto, provvide innanzi tutti Khadīja che credette senza esitazione alle parole del marito, divenendo il primo essere umano a convertirsi. Per tranquillizzarlo ulteriormente, la moglie lo fece parlare con Waraqa ibn Nawfal, cugino di lei, che le fonti islamiche indicano come cristiano ma che poteva anche essere uno di quei monoteisti arabi (ḥanīf) che non si riferivano a una specifica struttura religiosa organizzata. Waraqa confermò che su Maometto fosse disceso la Parola di Dio (Nāmūs).
Seguì un lungo periodo detto fatra, durato forse tre anni, in cui le sue esperienze non ebbero séguito, provocando ulteriore angoscia in Maometto. Durante quel tempo, secondo quanto scritto nel Corano, Maometto si diede con ancora maggiore intensità alle pratiche spirituali. I primi convertiti, oltre alla moglie, furono tutte persone a lui più vicine: le figlie, il cugino 'Alī, Abu Bakr, il figlio adottoto Zayd Ibn Hārita. Infine, intorno al 613, Gabriele tornò a parlargli e gli giunse l'ordine diretto di Dio di diffondere il suo messaggio a tutti gli abitanti di Mecca. La conversione degli abitanti di Mecca risultò per Maometto particolarmente irta di ostacoli. Seppur inizialmente avessero accolto con curiosità e benevolenza la nuova catechesi predicata da Maometto, in seguito i meccani gli si ribellarono. Le volontà di Allah di ritenersi unico ed esclusivo avrebbe potuto creare enormi problemi economici alla città, che si era arricchita attraverso i pellegrinaggi per gli idoli religiosi posti dentro la Kaʿba, che portavano a Mecca persone provenienti da tutta la penisola.
Importanti esponenti di vari clan iniziarono così a provare un crescente malcontento verso Maometto, che si manifestò con una serie di attacchi personali e il dileggio: il musico An-Nadr si divertiva a fare concorrenza al proselitismo di Maometto, mettendosi a raccontare storie e leggende, mentre il Profeta recitava le sue rivelazioni; la danzatrice Fartana, che lanciava motteggi pungenti contro i musulmani; e ʿUqba b. Abi Mu'ayt, che lanciò una placenta sanguinante di montone su Maometto in preghiera, con il palese intento di blasfemo d'infangare con il sangue quel momento di sacro raccoglimento. Fra gli oppositori di Maometto vi fu anche suo zio Abu Lahab, che forse su suggerimento dalla moglie Umm Ğamīl Arwā, spinse i figli a ripudiare le rispettive mogli, figlie del Profeta. I convertiti nella sua città natale furono pochissimi per i numerosi anni che egli ancora trascorse alla Mecca. Fra essi il suo amico intimo e coetaneo Abū Bakr e un gruppetto assai ristretto di persone che sarebbero stati i suoi più validi collaboratori: i cosiddetti "Dieci Benedetti" (al-ʿashara al-mubashshara).
I principali seguaci di Maometto furono giovani - figli o fratelli di mercanti - oppure persone in rotta con i loro clan di origine, insieme a stranieri la cui posizione nella società meccana era piuttosto fragile. In generale i meccani non presero sul serio la sua predicazione, deridendolo. Secondo Ibn Sa'd, le persecuzioni dei musulmani alla Mecca cominciarono quando Maometto annunciò i versetti che condannavano l'idolatria e il politeismo, mentre gli esegeti coranici le situano con l'inizio delle predicazioni pubbliche. Con l'aumentare dei suoi seguaci, comunque, i clan che rappres entavano il potere locale si sentirono sempre più minacciati; in particolare i Quraysh, a cui pure Maometto apparteneva, poiché guardiani della Kaʿba e gestori del lucroso traffico riguardante le offerte agli idoli.
I mercanti più potenti cercarono allora di convincere Maometto a desistere dalla sua predicazione offrendogli di entrare nel loro ambiente, insieme a un matrimonio per lui vantaggioso, ma egli rifiutò entrambe le proposte. Cominciò così un lungo periodo di persecuzioni nei confronti di Maometto e dei suoi seguaci. Sumayya bint Khayyat, schiava del potente leader meccano Abu Jahl, è considerata la prima martire: venne uccisa dal suo padrone con un colpo di lancia nelle parti intime quando si rifiutò di abiurare l'Islam. Bilāl, un altro schiavo musulmano che rifiutò strenuamente di abiurare, veniva invece obbligato dal suo padrone a distendersi sulla sabbia bollente nell'ora più calda del giorno, dopodiché gli veniva posato un macigno sul petto.
L'appartenenza di Maometto al clan dei B. Hāshim lo salvaguardò dalla violenza fisica, ma non dall'emarginazione. Per mettere al riparo i suoi seguaci dalla crescente ostilità subita alla Mecca, Maometto inviò una parte di loro nel Regno di Axum, sotto la protezione dell'imperatore cristiano Aṣḥama ibn Abjar. Nel 617 i leader dei clan Banu Makhzum e Banu 'Abd Shams, entrambi appartenenti alla tribù dei Quraysh, dichiararono un boicottaggio nei confronti del clan di Maometto, i Banu Hashim, per costringerli a interrompere la protezione da loro offerta al Profeta. I troppi vincoli parentali creatisi però fra i clan della stessa tribù fecero fallire il progetto di ridurre a più miti consigli Maometto.
Nel 620 Maometto sperimentò un avvenimento che si rivelerà pregno di significati particolarmente per la disciplina esoterica islamica, il Sufismo. «Gloria a Colui che rapì di notte il Suo servo dal Tempio Santo al Tempio Ultimo, dai benedetti precinti, per mostrargli dei Nostri Segni. In verità Egli è l'Ascoltante, il Veggente». Maometto venne svegliato da un angelo e accompagnato, durante la notte, dal Tempio Santo al Tempio Ultimo, identificati il primo con la Kaʿba e il secondo con la Spianata del Tempio di Gerusalemme, dove effettivamente i musulmani costruirono poi la Moschea al-Aqsa, cioè "l'Ultima". Da lì Maometto sorvolò la voragine infernale, assistendo alle punizioni inflitte ai dannati; e successivamente ascese ai Sette Cieli, incontrando a uno a uno Profeti che lo precedettero nell'annuncio di un identico messaggio salvifico per l'umanità, nell'ordine: Adamo, Giovanni Battista, Gesù, Giuseppe, Idris, Aronne, Mosè e Abramo. Ascese ancora, e venne ammesso al cospetto di Dio, avendone quindi per Suo onnipotente volere una visione beatifica del tutto straordinaria: l'Infinità, che è uno degli attributi di Dio, e l'immensa Potenza Divina renderebbero infatti impossibile a un vivente di accostarsi a Lui.
Avrebbero questo privilegio solo i morti, dotati da Dio di particolari sensi del tutto superiori a quelli dei viventi. Mentre Ibn Isḥāq presenta questo evento come un'esperienza spirituale, Ṭabarī e Ibn Kathīr lo descrivono come un viaggio fisico compiuto dal Profeta. In ogni caso, i forti connotati spirituali dell'evento resero indispensabile, per poterla descrivere, l'uso da parte di Maometto di una terminologia dai forti contenuti mistici e poetici; ed espressioni come "sidrat al-Muntahà ʿindahā jannatu l-Māʾwà" ("il loto di al-Muntahà presso il quale è il Giardino di al-Māʾwà") costituiscono un esempio in questo senso.
Nel 619, l'"anno del dolore", morirono tanto suo zio Abū Ṭālib, che gli aveva garantito affetto e protezione malgrado non si fosse convertito alla religione del nipote, quanto l'amata Khadīja. Con la morte di suo zio Abū Ṭālib, la leadership dei Banu Hashim passò a Abū Lahab, strenuo avversario di Maometto, che ritirò la protezione a lui offerta dal clan: per naturale conseguenza, chiunque avesse tentato di uccidere Maometto non si sarebbe più esposto alla vendetta del suo clan. Maometto si recò allora a Ṭāʾif, in cerca di protezione, ma la sua contemporanea predicazione dell'Islam non fece altro che metterlo in un pericolo ancora maggiore. Costretto a tornare alla Mecca, incontrò Mutʿim ibn ʿAdī, capo del clan Banu Nawfal, che gli permise di rientrare in città. Nello stesso periodo molte persone visitarono la Kaʿba come pellegrini o per concludere affari: Maometto approfittò di questa occasione per trovare un luogo sicuro per lui e per i suoi seguaci. Dopo molti tentativi infruttuosi, l'incontro con alcuni uomini di Yathrib (che sarebbe poi diventata Medina) si rivelò fortunato: per loro infatti erano familiari sia il concetto di monoteismo, sia la possibilità dell'apparizione di un profeta, essendo presente una forte componente ebraica nella città.
Speravano inoltre, accogliendo Maometto, di poter guadagnare la supremazia politica sulla Mecca, di cui invidiavano i proventi derivanti dai pellegrinaggi. In breve raggiunsero Medina, diventato un porto sicuro, musulmani provenienti da tutte le tribù della Mecca. Nel luglio del 620, per incontrare il Profeta, giunsero a Medina da Mecca settantacinque musulmani: essi si riunirono segretamente, di notte, e accettarono un comune impegno che prevedeva l'obbedienza a Maometto, l'ingiunzione del bene e la proibizione del male, e una comune risposta armata qualora questa si fosse resa necessaria. In seguito a questo patto Maometto incoraggiò i musulmani a raggiungere Medina: come accaduto per l'emigrazione in Abissinia, anche questa volta i Quraysh cercarono di bloccare l'esodo, fallendo.
Negli anni precedenti l'Egira, l'autorità di Maometto, come capo dei musulmani, gli permise di guadagnare l'appoggio dei notabili di Yathrib, che vollero fungesse da arbitro imparziale, in quanto straniero, nelle dispute fra le componenti etniche e tribali della città. Questo permise a lui e ai suoi seguaci di essere accolti nella città-oasi, venendo a fruire della necessaria sicurezza e protezione. Nello stesso periodo diede anche istruzioni ai suoi seguaci perché emigrassero alla spicciolata, e senza dare nell'occhio dei concittadini, verso Yathrib, fin quando furono assai pochi i musulmani rimasti alla Mecca. Allarmati dall'esodo e timorosi di veder messi a rischio i propri interessi, a causa dell'inevitabile conflitto ideologico e spirituale che si sarebbe prodotto con gli altri Arabi politeisti (che coi Meccani proficuamente commerciavano e che annualmente partecipavano ai riti della ʿumra del mese di rajab), i Quraysh organizzarono un complotto per uccidere Maometto.
Attraverso ʿAlī, che prese il suo posto nella casa, discretamente sorvegliata dai Quraysh, Maometto riuscì a ingannare la sorveglianza e fuggire dalla città insieme al suo migliore amico, il futuro califfo Abū Bakr. I due, attraverso un miracoloso evento narrato nel Corano, non vennero scoperti dagli inseguitori meccani nei dintorni della città; e grazie alla collaborazione di parenti e amici, attraversarono il deserto in sella ai dromedari, passando per sentieri meno noti e battuti. Raggiunsero incolumi Medina il 24 settembre 622. Inizialmente Maometto si ritenne un profeta inserito nel solco profetico antico-testamentario, ma la comunità ebraica di Medina non lo accettò come tale in quanto non appartenente alla stirpe di Davide]. Nonostante ciò, Maometto predicò a Medina per otto anni e qui, fin dal suo primo anno di permanenza, formulò la Costituzione di Medina (Rescritto o Statuto o Carta, in arabo Ṣaḥīfa) che fu accettata da tutte le componenti della città-oasi e che vide il sorgere della Umma, la prima Comunità politica di credenti.
I primi abitanti di Yathrib, che si convertirono all'Islam e che offrirono ospitalità e aiuto agli Emigrati meccani, vennero chiamati Anṣār ("ausiliari"); successivamente Maometto istituì un patto di "fraternità" fra Emigrati (Muhājirūn) e Anṣār, e il Profeta stesso prese come fratello ʿAlī, figlio dell'amato zio Abū Ṭālib e di fatto (anche se non legalmente) affiliato da Maometto fin dalla tenera età, come Abū Ṭālib aveva a sua volta adottato lui quando era rimasto orfano. A seguito dell'esodo musulmano, i Meccani requisirono tutte le loro proprietà nella città Impoveriti e senza entrate, i musulmani avviarono necessariamente aperte ostilità armate contro Mecca, razziando le sue carovane. A giustificare tali ostilità era innanzi tutto il desiderio di vendicare quanto essi stessi avevano subito per anni dagli Arabi politeisti nella loro città natale ma anche, e non secondariamente, di acquisire benessere, potere e prestigio in attesa di realizzare l'obiettivo finale di conquistare la Mecca.
Il primo grande fatto d'arme nella storia dell'islam è costituito dalla Battaglia di Badr, in cui i musulmani risultarono vittoriosi nonostante l'inferiorità numerica. Seguì la disfatta sotto il monte Uḥud, segnata dal tradimento degli ebrei medinesi e dalla avventatezza di una parte dei soldati musulmani, alla quale Maometto sopravvisse solo perché, colpito da una pietra in pieno viso, cadde privo di sensi e venne creduto già morto dagli avversari. Infine, la vittoria dei musulmani nella Battaglia del Fossato segnò uno spartiacque tale da causare la disgregazione della potenza meccana. In tutte queste circostanze Maometto colpì in diversa misura anche gli ebrei di Medina, che si erano resi colpevoli agli occhi della Umma della violazione del Rescritto di Medina e di tradimento nei confronti della componente islamica.
In occasione dei due primi fatti d'armi, furono esiliate le tribù ebraiche dei Banū Qaynuqāʿ e dei Banū Naḍīr accusati i primi di offesa alla pudicizia di una ragazza musulmana e i secondi di complotto, unitamente ai Meccani pagani, ai danni dei musulmani. Durante la cosiddetta "battaglia del Fossato" (Yawm al-Khandaq), che fu di fatto un fallito assedio dei Meccani e dei loro alleati, la tribù ebraica dei Banū Qurayza, situata a sud di Medina, avviò i negoziati con i Quraysh per consegnare loro Maometto, violando apertamente la Costituzione di Medina. Dopo aver respinto gli assedianti pagani, i musulmani accusarono i Banū Qurayza di tradimento e li assediarono per venticinque giorni nelle loro fortezze, costringendoli alla resa. Furono decapitati tra i 700 e i 900 uomini ebrei della tribù e le loro donne e i loro bambini furono venduti come schiavi sui mercati d'uomini di Siria e del Najd, dove vennero quasi tutti riscattati dai loro correligionari di Khaybar, Fadak e di altre oasi arabe higiazene.
La sentenza non fu formalmente decisa da Maometto che aveva affidato il responso sulla punizione da adottare a Saʿd b. Muʿādh, sayyid dei Banū ʿAbd al-Ashhal, clan della tribù medinese dei Banu Aws, un tempo principale alleata dei B. Qurayẓa. Questi, ferito gravemente da una freccia (tanto da morirne pochissimi giorni più tardi) e ovviamente pieno di rabbia e rancore, decise per una soluzione estrema, non frequente ma neppure del tutto inconsueta per l'epoca. Maometto approvò la decisione di massacrare tutti i maschi della tribù e di ridurre in schiavitù le donne e i bambini, e partecipò attivamente allo sgozzamento dei prigionieri. Che non si trattasse comunque di una decisione da leggere in chiave esclusivamente anti-ebraica potrebbe dimostrarcelo il fatto che gli altri B. Qurayẓa che vivevano intorno a Medina, e nel resto del Ḥijāz (circa 25 000 persone), non furono infastiditi dai musulmani, né allora, né in seguito. In proposito si è anche espresso uno dei più apprezzati storici del primo Islam, Fred McGrew Donner, che afferma: «dobbiamo... concludere che gli scontri con altri ebrei o gruppi di ebrei furono il risultato di particolari atteggiamenti o comportamenti politici di costoro, come, per esempio, il rifiuto di accettare la leadership o il rango di profeta di Muhammad.
Questi episodi non possono pertanto essere considerati prove di un'ostilità generalizzata nei confronti degli ebrei da parte del movimento dei Credenti, così come non si può concludere che Muhammad nutrisse un'ostilità generalizzata nei confronti dei Quraysh perché fece mettere a morte e punì alcuni suoi persecutori appartenenti a questa tribù». Alcuni studiosi musulmani rifiutano di riconoscere l'incidente, ritenendo che Ibn Isḥāq, il primo biografo di Maometto, avesse raccolto molti dettagli dello scontro dai discendenti degli stessi ebrei Qurayẓa cento anni dopo i fatti. Questi discendenti avrebbero arricchito o inventato dettagli sullo scontro prendendo ispirazione dalla storia delle persecuzioni ebraiche in epoca romana. Gli storici che mettono in dubbio l'esecuzione della tribù Banu Qurayẓa sottolineano come il cronista Ibn Isḥāq fosse stato giudicato inaffidabile dal suo contemporaneo Malik ibn Anas, uno dei più importanti giuristi del sunnismo, fondatore del madhhab malikita, mentre il giurista sciafeita Ibn Hajar al-'Asqalani descrisse Ibn Isḥāq come un narratore di "racconti strani".
Dopo aver portato in prossimità della sua città natale un forte contingente armato, affermando di voler compiere un pellegrinaggio alla Kaʿba, Maometto si accordò con i Meccani per rimandare all'anno successivo quel pellegrinaggio, sottoscrivendo nel marzo del 628 l'Accordo di al-Hudaybiyya, suscitando un forte sconcerto tra i suoi seguaci e, particolarmente, in ʿUmar b. al-Khaṭṭāb. L'intento fu realizzato come concordato il 2 marzo 629, con quello che viene ricordato come "Pellegrinaggio d'adempimento" (ʿumrat al-qaḍāʾ). Nel 630 Maometto era ormai abbastanza forte per marciare sulla Mecca e conquistarla. Tornò peraltro a vivere a Medina e da qui ampliò la sua azione politica e religiosa a tutto il resto del Hijaz e, dopo la sua vittoria nel 630 a Ḥunayn contro l'alleanza che s'imperniava sulla tribù dei Banū Hawāzin, con una serie di operazioni militari nel cosiddetto Wadi al-qura, a 150 chilometri a settentrione di Medina, conquistò o semplicemente assoggettò vari centri abitati (spesso oasi), come Khaybar, Tabūk e Fadak, il cui controllo aveva indubbie valenze economiche e strategiche.
Nel 632, tornato a Medina dopo aver compiuto il Pellegrinaggio detto anche il "Pellegrinaggio dell'Addio", il profeta si ammalò, probabilmente di pleurite o di un tumore al cervello, di cui avrebbe iniziato a mostrare i sintomi durante il Pellegrinaggio. Curato inutilmente, delegò Abū Bakr la conduzione della preghiera collettiva e a Usama b. Zayd la conduzione dell'esercito per la conquista della Siria. Morì lunedì 13 rabīʿ I dell'anno 11 dell'Egira (equivalente all'8 giugno del 632), tra le braccia dell'amata moglie ʿĀʾisha bt. Abī Bakr. Le sue ultime parole furono: «Con la compagnia suprema in Paradiso». Fu sepolto a Medina, all'interno della casa in cui viveva. Lasciò nove vedove - tra cui ʿĀʾisha - e una sola figlia vivente, Fāṭima, andata sposa al cugino del profeta, ʿAlī b. Abī Ṭālib, madre dei suoi nipoti al-Ḥasan b. ʿAlī e al-Ḥusayn b. ʿAlī. Fatima, piegata dal dolore della perdita del padre e logorata da una vita di sofferenze e fatiche, morì sei mesi più tardi, diventando in breve una delle figure più rappresentative e venerate della religione islamica. Non avendo fornito esplicite dichiarazioni su chi dovesse succedergli alla guida politica della Umma, i suoi collaboratori dettero vita all'istituzione politico-religiosa del califfato, assegnandone la carica al suo caro amico Abū Bakr.
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