Per guerre mitridatiche si intende una serie di conflitti tra la Repubblica romana ed il Ponto che si combatterono tra l'88 e il 63 a.C. Prendono il loro nome da Mitridate VI che all'epoca era il re del Ponto e grande nemico di Roma. Così Appiano di Alessandria ce le riassume, osservandole da parte dello sconfitto: «Molte volte [Mitridate] mise in campo più di 400 navi, 50.000 cavalieri e 250.000 fanti, con macchine d'assedio in proporzione. Tra i suoi alleati vi fu il re di Armenia, i principi delle tribù degli Sciti che si trovano intorno al Ponto Eusino ed al mare di Azov e oltre fino al Bosforo tracio. Tenne comunicazioni con i generali delle guerre civili romane, che combatterono molto ferocemente, e con quelli che si erano ribellati in Spagna. Stabilì rapporti di amicizia con i Galli a scopo di invadere l'Italia. Dalla Cilicia alle Colonne d'Ercole riempì il mare con i pirati, che provocarono la cessazione di ogni commercio e navigazione tra le città del Mediterraneo e causarono gravi carestie per lungo tempo. In breve, non lasciò nulla nel potere di qualunque uomo, che potesse iniziare un qualsiasi movimento possibile, da Oriente a Occidente, vessando, per così dire, il mondo intero, combattendo aggrovigliato nelle alleanze, molestato dai pirati, o infastidito dalla vicinanza della guerra. Tale e così diversificata fu questa guerra, ma alla fine portò i maggiori benefici ai Romani, che spinsero i confini del loro dominio, dal tramonto del sole al fiume Eufrate.
Fu impossibile distinguere tutti questi avvenimenti da parte delle popolazioni coinvolte, da quando iniziarono in contemporanea, e si intersecarono in modo complicato con altri avvenimenti. [...]» Appena salito al trono del regno del Ponto nel 111 a.C., Mitridate VI mise in atto subito (fin dal 110 a.C.) una politica espansionistica nell'area del Mar Nero, conquistando tutte le regioni da Sinope alle foci del Danubio, compresa la Colchide, il Chersoneso Taurico e la Cimmeria (attuale Crimea), e poi sottomettendo le vicine popolazioni scitiche e dei sarmati Roxolani. In seguito, il giovane re volse il suo interesse verso la penisola anatolica, dove la potenza romana era, però, in costante crescita. Sapeva che uno scontro con quest'ultima sarebbe risultato mortale per una delle due parti. Alleatosi nel 104 a.C. con il re di Bitinia Nicomede III, partecipò alla spartizione della Paflagonia (regione che si trovava tra i due regni), ma pochi anni più tardi, le crescenti mire espansionistiche portarono Mitridate a scontrarsi con il nuovo alleato per il controllo del regno di Cappadocia (100 a.C. circa).
Mitridate, seppure fosse riuscito a sconfiggere Nicomede in alcune decisive battaglie, costrinse il sovrano del Regno di Bitinia a richiedere l'intervento dell'alleato romano, in almeno tre circostanze: la prima volta nel 98 a.C., sotto l'alta guida di Gaio Mario, vincitore dei Cimbri e dei Teutoni; la seconda volta nel 96 a.C., quando una missione del princeps del Senato, guidata da Marco Emilio Scauro nel 96 a.C. stesso, intimò al sovrano pontico di togliere l'assedio a Nicomedia ed evacuare la Paflagonia e la Cappadocia, lasciando che quest'ultima regione potesse scegliersi un re senza l'interferenza di Mitridate; la terza nel 92 a.C., quando ad intervenire fu il pretore della Cilicia, Lucio Cornelio Silla, con il compito sia di porre sul trono di Cappadocia il nuovo sovrano Ariobarzane I (che era stato nuovamente cacciato), sia di contenere l'espansionismo di Mitridate VI e del suo alleato Tigrane II d'Armenia (quest'ultimo sconfitto e costretto a ritirarsi ad est dell'Eufrate), venendo in contatto per la prima volta con un satrapo del re dei Parti (probabilmente nei pressi di Melitene).
Contemporaneamente, sul "fronte" romano, il malcontento dei popoli italici aveva portato ad una loro sollevazione generale nel 91 a.C., degenerata in guerra aperta al potere centrale romano (dal 91 all'88 a.C.). In un clima tanto avvelenato a Roma, Mitridate non poté che approfittarne, pronto ad intervenire sul fronte orientale, lontano dai torbidi dell'Urbs, tanto più che le armate romane erano per la maggior parte concentrate in Italia, impegnate a sopprimere, a fatica, la grande rivolta delle genti italiche. I nuovi tentativi di espansionismo in Asia Minore da parte di Mitridate non poterono essere bloccati facilmente da parte della repubblica romana, come era invece accaduto nel 92 a.C., quando il sovrano pontico aveva detronizzato Ariobarzane I. Tra il 91 ed l'89 a.C., il sovrano del Ponto detronizzò a più riprese sia Nicomede IV (sostituito da Mitridate con il fratello del re di Bitinia, Socrate Cresto), sia Ariobarzane (nel 91 e nell'89 a.C., grazie all'alleato e genero armeno, Tigrane II). Il senato romano decise così di inviare l'ennesima delegazione in Asia, sotto il comando del consolare Manio Aquilio, per ottenere la reintegrazione dei due regnanti fedeli a Roma (nel 90 a.C.).
Se in un primo momento Mitridate si sottomise alle richieste romane, offrendo anche degli ausiliari per la guerra sociale, successivamente, la richiesta di Aquilio di fornire a Nicomede IV un indennizzo portò il re del Ponto a replicare di essere, egli stesso, creditore verso la repubblica romana, essendosi privato della Frigia su richiesta romana. Aquilio, irritato dal comportamento del sovrano pontico, spinse il titubante Nicomede IV ad invadere il Ponto (compiendo saccheggi fino ad Amastris). In prima istanza, Mitridate inviò un suo fedele ambasciatore ai Romani, sapendo già quali risposte avrebbe ricevuto. Ricordò loro: «[...] Mitridate ricordò loro dell'alleanza ed amicizia di suo padre, in ragione del quale Peolopida [inviato di Mitridate] disse che la Frigia e la Cappadocia gli erano state tolte, delle quali la Cappadocia era da sempre appartenuta ai suoi antenati e che gli era stata lasciata da suo padre. La "Frigia", continuò, "fu data a lui dai loro stessi generali quale ricompensa per la sua vittoria contro Aristonico, e mai pagò quei generali per ottenerlo. Ed ora consentono a Nicomede di chiudergli la via del Ponto Eusino, e di invadere il mio paese fino ad Amastris, lasciando che possa saccheggiare ovunque, impunemente.
Il mio re non è debole, egli non è impreparato a difendersi, ma attende che voi siate testimoni di queste operazioni. In modo che vedendo tutto ciò, Mitridate, che è vostro alleato ed amico, possa chiamarvi amici ed alleati (come prova il trattato) a difenderlo contro il cattivo operato di Nicomede, o frenare chi sbaglia."» Subito dopo che ebbe parlato Pelopida, furono gli ambasciatori di Nicomede a replicare, ricordando allo stesso, e ai Romani presenti all'incontro, che in passato era stato Mitridate a detronizzarlo, mettendo al suo posto il fratello Socrate Cresto. Aggiunsero, inoltre, che il re del Ponto stava allestendo un'immensa armata per fare la guerra non solo a Nicomede, ma all'intera Asia, domini di Roma compresi, dopo essersi procurato l'alleanza di Tigrane II d'Armenia (divenuto ora suo genero) e del re dei Parti ed aver richiesto le alleanze dei Tolomei d'Egitto e dei Seleucidi di Siria. I Romani, dopo aver preso atto dei grandiosi preparativi di guerra di Mitridate, gli intimarono di non attaccare nuovamente l'alleato Nicomede, poiché ciò avrebbe significato una dichiarazione di guerra a Roma stessa.
Mitridate, tutt'altro che sorpreso dalle risposte fornitogli, decise di proseguire nella sua sfida alla repubblica romana, insediando in Cappadocia suo figlio Ariarate IX ai danni del re filoromano, Ariobarzane I (nell'89 a.C.), cacciandolo dal regno per la terza volta. L'ira dei Romani per l'insolenza del re del Ponto aveva ormai raggiunto il culmine. La guerra sembrava ormai inevitabile. «Mitridate disponeva di 250.000 fanti e 40.000 cavalieri, 300 navi con ponti, 100 con doppio ordine di remi ed il restante apparato bellico in proporzione. Aveva per generali un certo Neottolemo ed Archelao, due fratelli. Il re aveva con sé il grosso del numero degli armati. Delle forze alleate, Arcatia, figlio di Mitridate, conduceva 10.000 cavalieri dall'Armenia minore, mentre Dorialo comandava la falange. Cratero aveva con sé 130 carri da guerra.» Sembra che a questo punto, la maggior parte delle città della Asia si arresero al conquistatore pontico, accogliendolo come un liberatore dalle popolazioni locali, stanche del malgoverno romano, identificato da molti nella ristretta cerchia dei pubblicani.
Dopo la nomina di nuovi satrapi sulle nazioni appena conquistate, egli si diresse a Magnesia al Meandro, poi Efeso e Mitilene, le cui cittadinanze lo accolsero tutte con benevolenza. Gli abitanti di Efeso addirittura rovesciarono tutte le statue romane che erano state erette nelle loro città. Tornato nella Ionia, il sovrano pontico occupò la città di Stratonicea, infliggendole una pena pecuniaria, e ponendo nella stessa un presidio militare. Prese poi in sposa poi una certa Monima, figlia di Filopemene. Diresse poi le sue armate contro le Cicladi, i Magnesi in Lidia, i Paflagoni, i Lici e la città di Thebae in Caria, che ancora gli resistevano. Anche Rodi rimase fedele a Roma, riuscendo a respingere per lungo tempo, gli attacchi del re del Ponto, anche grazie ad aver rafforzato le loro mura, il porto, aggiungendo nuove macchine da guerra, ricevendo aiuto anche da Telmesso e dalla Licia. Inoltre tutti gli Italici scampati alla strage si rifugiarono a Rodi, tra i quali lo stesso Gaio Cassio Longino, il proconsole della provincia d'Asia. Non appena queste notizie giunsero a Roma, il Senato emise una solenne dichiarazione di guerra contro il re del Ponto, seppure nell'Urbe vi fossero gravi dissensi tra le due principali fazioni interne alla Res publica (degli Optimates e dei Populares) ed una guerra sociale non fosse stata del tutto condotta a termine. Si procedette, quindi, a decretare a quale dei due consoli, sarebbe spettato il governo della provincia d'Asia, e questa toccò in sorte a Lucio Cornelio Silla.
Si procedette quindi a raccogliere un ingente quantità di oro (si parla di circa 90.000 libbre) per i preparativi bellici. Mitridate, preso possesso della maggior parte dell'Asia Minore, dispose che tutti coloro, liberi o meno, che parlavano una lingua italica, fossero barbaramente trucidati, non solo quindi i pochi soldati romani rimasti a presidio delle guarnigioni locali. 80.000 tra cittadini romani (o addirittura 150.000) e non, furono massacrati nelle due ex-province romane d'Asia e Cilicia (episodio noto come Vespri asiatici). Il grosso delle armate romane non poté intervenire in Acaia, se non ad anno inoltrato, a causa dei difficili scontri interni tra la fazione dei populares, capitanate da Gaio Mario, e quella degli optimates, condotta da Lucio Cornelio Silla. Alla fine ebbe la meglio quest'ultimo, il quale ottenne che venisse affidata a lui la conduzione della guerra contro il re del Ponto. Tutto ciò avveniva mentre Lucio Cornelio Silla stava addestrando ed arruolando l'esercito, per recarsi in Oriente a combattere Mitridate VI. Egli passò quindi in Epiro con cinque legioni e poche coorti di truppe di cavalleria, chiedendo subito denaro, rinforzi ed approvvigionamenti da Etolia e Tessaglia. Non appena ebbe rifocillato le truppe, mosse in direzione di Archelao, pronto ad attaccarlo. E mentre stava attraversando il paese, tutta la Beozia si unì a lui, tranne pochi, tra cui la grande città di Tebe.
L'obbiettivo rimaneva Atene, che poco dopo fu assediata lungamente, fino a quando la città ed il porto del Pireo, non caddero nelle mani del proconsole romano. Si racconta che appena giunto in prossimità della città, divise l'armata in due parti: con una si diresse ad assediare Aristione ad Atene, con l'altre, da lui personalmente diretta, decise di attaccare il Pireo, dove Archelao si era rifugiato. L'altezza delle mura qui era di circa venti metri, costruite con grandi pietre quadrate al tempo di Pericle, durante la guerra del Peloponneso. Silla sapeva che una vittoria sul Pireo avrebbe gettato nello sconforto la vicina Atene ed il resto della Grecia. Il generale romano decise quindi di inseguire il nemico, che affrontò poco a nord, dove ottenne una prima vittoria campale nella battaglia di Cheronea, dove secondo Tito Livio caddero ben 100.000 armati del regno del Ponto, 110.000 secondo Appiano di Alessandria, rimanendone comunque in vita solo 10.000. Mitridate, preoccupato da questa sconfitta, procedette ad arruolare un nuovo immenso esercito pari al primo e a far arrestate coloro i quali erano sospettati di tramare alle sue spalle. Poco dopo i resti dell'armata mitridatica unitisi ad una nuova di altri 80.000, veniva annientata ad Orcomeno, località non molto distante da Cheronea.
Il giorno successivo alla vittoria, Silla distribuì ricompense al valore ai suoi soldati. Riprese quindi la sua marcia portando devastazione in Beozia, che si era schierata prima dalla parte di uno e poi dell'altro, per poi trasferirsi in Tessaglia dove decise di porre i suoi quartieri d'inverno, in attesa che il suo legato, Lucio Licinio Lucullo gli portasse la flotta. Ma non ricevendo alcuna notizia di Lucullo, decise di iniziare egli stesso ad approntare la flotta, disponendone la costruzione. E mentre accadeva tutto ciò in Grecia, a Roma Silla era dichiarato nemico pubblico da Gaio Mario e Cinna. Le sue abitazioni cittadine e di campagna venivano distrutte e i suoi amici messi a morte. Agli inizi dell'anno, il prefetto della cavalleria, Flavio Fimbria, fece uccidere il proprio proconsole, Lucio Valerio Flacco, a Nicomedia dopo averlo costretto a fuggire da Bisanzio, prendendone il comando, acclamato dalle truppe imperator. Si era poi diretto contro le armate di Mitridate in Asia, uscendone vincitore.
Riuscì infatti a conquistare la nuova capitale di Mitridate, Pergamo, e una volta stretto d'assedio il re presso Pitane, poco mancò che non lo facesse prigioniero, quando il re del Ponto riuscì a fuggire a Mitilene su una nave. Espugnò e distrusse con l'inganno la città di Troia che aveva ottenuto la protezione di Silla e riconquistò gran parte dell'Asia.[9Sebbene non fossero state vittorie decisive ai fini della guerra, a causa della situazione che si andava delineando a Roma con il ritorno al potere dei mariani, Silla decise accettare di trattare la pace con il re del Ponto. Appiano di Alessandria e Plutarco ci raccontano che l'iniziativa fu presa da Mitridate, il quale inviò il suo fidato generale Archelao a trattare con il consolare romano. L'incontro avvenne su una nave al largo di Delio, nei pressi del santuario di Apollo: «Quando Mitridate seppe della sconfitta ad Orcomeno, rifletté sull'immenso numero di armati che aveva mandato in Grecia fin dal principio, e il continuo e rapido disastro che li aveva colpiti. In conseguenza di ciò, decise di mandare a dire ad Archelao di trattare la pace alle migliori condizioni possibili. Quest'ultimo ebbe allora un colloquio con Silla in cui disse:"il padre di re Mitridate era amico tuo, o Silla.
Fu coinvolto in questa guerra a causa della rapacità degli altri generali romani. Egli chiede di avvalersi del tuo carattere virtuoso per ottenere la pace, se gli accorderai condizioni eque".» Plutarco aggiunge che Archelao chiese a Silla di abbandonare l'Asia e Ponto e navigare verso l'Italia e Roma per disputare la sua guerra, in cambio avrebbe ricevuto da Mitridate, denaro, triremi e armati a volontà. Ed infatti poiché Silla non disponeva ancora di alcuna nave, oltre tutto da Roma non era arrivato denaro o qualsiasi altra forma di aiuto [a lui], ma al contrario era stato dichiarato nemico pubblico; poiché Silla aveva già speso i soldi che aveva preso dai templi della Pizia, di Olimpia e di Epidauro, in cambio dei quali egli aveva loro assegnato la metà del territorio di Tebe, a causa delle sue frequenti defezioni, ma soprattutto poiché aveva la necessità di far ritorno a Roma con il suo esercito contro la fazione a lui ostile dei populares, acconsentì alla proposta del re del Ponto di raggiungere un accordo di pace. Archelao si ritirò velocemente da quei luoghi e sottopose tutte le condizioni della resa a Mitridate. Frattanto Silla decise di marciare contro Eneti, Dardani, Sinti e Maedi popolazioni che abitavano lungo i confini della provincia di Macedonia, che in passato avevano invaso ripetutamente i territori romani, e ne devastò i loro villaggi.
In questo modo egli mantenne i suoi soldati in esercizio e li rese ricchi allo stesso tempo, in attesa della risposta del re del Ponto.[98][101] Gli ambasciatori di Mitridate, insieme ad Archealo, tornarono da Silla con la risposta e si incontrarono a Filippi: il re del Ponto accettava tutte le condizioni del trattato di pace ad eccezione di quelle relative alla Paflagonia. Gli emissari del re aggiungevano che Mitridate avrebbe ottenuto condizioni migliori se avesse negoziato con il console Lucio Valerio Flacco. La cosa offese non poco Silla, il quale disse agli emissari del re che avrebbe raggiunto Mitridate in Asia per capire se voleva veramente la pace o la guerra. Secondo Plutarco fu lo stesso Mitridate a richiedere l'incontro a causa dell'attività bellica di Fimbria in Asia. Cercava in Silla un alleato. Il comandante romano marciò, quindi, attraverso la Tracia, via Cypsella, dopo aver inviato Lucio Licinio Lucullo ad Abido, giunto da poco, dopo aver rischiato più volte di essere catturato da parte dei pirati. Quest'ultimo era riuscito a raccogliere una flotta composta da navi provenienti da Cipro, Fenicia, Rodi e Panfilia. Aveva devastato gran parte delle coste nemiche scontrandosi con le navi pontiche. E mentre Silla avanzava da Cypsella, Mitridate marciava da Pergamo. A circa metà strada, a Dardano nella Troade, si incontrarono per una conferenza di pace.
Ognuno di loro aveva con sé una piccola forza militare: Mitridate 200 navi ad un solo ordine di remi, 20.000 opliti, 6.000 cavalieri ed un grosso nucleo di carri falcati; Silla invece, 4 coorti e 200 cavalieri. Mitridate cominciò a parlare, raccontando di suo padre, della sua amicizia ed alleanza con i Romani. Poi accusò ambasciatori e generali romani di averlo provocato, procurandogli un danno, avendo messo sul trono di Cappadocia Ariobarzane I, privandolo poi della Frigia, e dando ragione al re Nicomede IV di Bitinia. Egli giustificò così il suo attacco alle province romane come legittima difesa, dovuto più ad una necessità che ad una sua reale volontà. La pace fu sancita dopo un acceso incontro tra il sovrano del Ponto e Silla nei pressi di Dardano, e costrinse Mitridate a ritirarsi da tutti i domini antecedenti la guerra, ottenendo in cambio di essere ancora una volta considerato "amico del popolo romano". Un espediente per Silla, per poter tornare nella capitale a risolvere i suoi problemi personali, interni alla Repubblica romana.
Wikipedia: Prima guerra mitridatica