Nel 290 l'esercito romano, guidato dai consoli Manio Curio Dentato e Publio Cornelio Rufino ebbe ragione degli ultimi Sanniti che si erano ritirati a Bovianum, dopo la pesante sconfitta subita ad Aquilonia. Subito dopo Curio Dentato si rivolse con il suo esercito verso i Sabini, per portare a termine il suo disegno di espansione dello Stato romano verso la costa adriatica, al fine di impedire per il futuro i collegamenti fra i popoli a nord della penisola e quelli al sud, che avevano consentito alla lega gallo-etrusco-italica di formarsi e di creare non pochi problemi a Roma. Curio Dentato si spinse in profondità nel territorio dei Sabini fra la Nera, l'Aniene e le fonti del Velino giungendo fino al Mare Adriatico. Ampi territori nella pianura di Reate e Amiternum furono confiscati e distribuiti a romani, mentre alle popolazioni locali fu offerto la cittadinanza romana senza diritti civili, la civitas sine suffragio.

Tre anni più tardi (287 a.C.), sotto i consoli Marco Claudio Marcello e Gaio Nauzio Rutilo, ci fu quella che è da tutti gli storici indicata come l'ultima secessione della plebe. Non è chiaro se la causa scatenante sia stata proprio la distribuzione delle terre confiscate ai Sabini, (allora queste erano riservate solo ai patrizi), oppure una ennesima situazione di criticità in cui si vennero a trovare i ceti più deboli, per lo più agricoltori, che al ritorno dalla guerra erano in difficoltà per restituire i debiti contratti con i più facoltosi patrizi. Questa volta per protesta la plebe si ritirò sull'Aventino. Per risolvere la questione venne nominato un dittatore nella persona di Quinto Ortensio. Non è noto come Ortensio convinse la folla a interrompere la secessione, ma vi riuscì.

Sicuramente poco dopo egli, con il supporto di Curio Dentato, promulgò una legge, la Lex Hortensia de plebiscitiis, che stabiliva che le decisioni, e quindi le leggi, decise delle assemblee plebee (plebiscita) valevano per tutti i cittadini romani, quindi anche per i patrizi. Questa legge eliminò quella che era oramai l'unica disparità politica rimasta fra le due classi, chiudendo, dopo circa duecento anni di lotte, il Conflitto degli Ordini. Questo evento, anche se è ben lungi dal risolvere tutte le disuguaglianze economiche e sociali fra patrizi e plebei, segnò comunque una svolta importante nella storia della democrazia romana in quanto diede luogo al formarsi di un nuovo tipo di nobiltà (nobilitas) patrizio-plebea che, consentendo una continuità nel governo della repubblica, ne costituirà uno dei principali elementi di forza nella sua espansione economica e militare.   

 

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